Mons. Adriano Vincenzi conclude il Festival in tre parole: bellezza, essenzialità, passione
1 DICEMBRE 2016
Il video, e la trascrizione del video, dell’intervento tenuto da mons. Adriano Vincenzi, coordinatore del Festival e Presidente della Fondazione Toniolo, a conclusione del V Festival della Dottrina sociale della Chiesa.
Il primo da ringraziare, al termine del Festival della Dottrina sociale, è Papa Francesco che ci ha inviato un bellissimo videomessaggio. Ascoltandolo, ho percepito con soddisfazione il senso di una comunione non come adeguamento a una linea, ma come ritrovarsi naturalmente sulla stessa linea. Papa Francesco, a Firenze, ha pregato la Chiesa italiana di lavorare sulla Evangelii gaudium. Noi, da tre anni basiamo il festival su quel testo: è prova di una comunione come sintonia, non come adeguamento, è bellissimo. Per questo motivo, lo spessore del grazie che rivolgiamo al Pontefice non è un atto dovuto al piacere, ma la gioia del riconoscimento che ci troviamo insieme.
Il secondo ringraziamento va a mons. Nunzio Galantino, perché piace. Gli incontri si possono firmare con l’inchiostro o con la presenza: in questi giorni, e oggi, sono stati firmati con la presenza; grazie ancora.
Vorrei proporvi tre parole come sintesi di questo V Festival della Dottrina sociale. La prima è bellezza, perché questo evento è stato molto bello, una vera esperienza spirituale. Quando dell’altro percepiamo la sua dimensione positiva, ci troviamo davanti alla traduzione di una fraternità goduta, alla soddisfazione di vedersi. Il Festival è stato caratterizzato da questa bellezza: non notare i limiti che hanno le persone, ma i loro aspetti positivi, che ognuno ha dentro di sé.
Il Festival dunque diventa interessante perché favorisce la costruzione di rapporti più in profondità che ci permettono di lavorare dentro i problemi con un altro stile, toccando le miserie, guardando le persone. Questa è la bellezza. Se teniamo questa linea, possiamo andare dentro tutte le situazioni, sporcarci le mani, sudare, tribolare, imprecare, ma non perderemo mai la dimensione della bellezza.
Auguro, a tutti quelli che operano nel sociale, di non abbruttirsi nel lavoro, ma di diventare ancora più belli. Questa sarà la grande differenza: lavorare dentro le cose riconoscendo che la dimensione più forte è sempre quella umana. I problemi, in questa maniera, non ci toglieranno mai la serenità.
La seconda parola è l’essenzialità, innanzitutto nel parlare: parliamo di meno e facciamo di più. Vediamo intorno a noi troppa retorica, troppi arzigogoli, troppi discorsi per cose piccole. Dobbiamo tornare all’essenzialità della parola, perché le grandi gioie e i grandi dolori inducono sempre al silenzio. Chi gode poco, deve spiegare che ha una gioia grande. Chi non soffre, sente di dover sviluppare riflessioni sulle sofferenze. Chi patisce, tace. È dignitoso. È grande. Occorre questa essenzialità, nella quale noi possiamo dare spazio ai fatti. E allora saremo semplici: non c’è bisogno di vendere fumo o rendere le cose grandi. Di solito, chi fa le cose grandi parla poco. Chi fa poco, parla molto. Pian piano, mi auguro che andiamo verso questa essenzialità che tocca il cuore.
Sono contento di questo festival: ci sarà poi spazio per vedere le rassegne stampa e quanti giornali ne hanno parlato, ma soprattutto mi chiedo: di quanti abbiamo toccato il cuore, tra quelli che sono passati? Questa è l’essenzialità. Perché altrimenti, da domani, ciascuno può andare legittimamente per i fatti propri e non ci sarà continuità. Se invece è stato toccato il cuore, qualsiasi cosa facciate, date continuità al messaggio del Festival.
La terza parola è passione. Facciamo ciò che nessuno ci ha comandato di fare. Non obbediamo ad un ordine, ad una organizzazione o a una struttura, ma siamo semplicemente e fortemente attratti dal prenderci cura delle persone, del territorio e delle situazioni. Occorre questa passione, per non far diventare le nostre attività una gara a chi obbedisce di più, a chi si avvicina di più alla linea.
Invece, noi siamo liberi: per questo ci impegniamo da morire. E di conseguenza, senza che nessuno ce lo dica, diventiamo capaci di operare grazie all’essere “dentro”. È stando dentro, che si può rispondere ai problemi: vorrei un’azione diffusa così. Quasi anonima, ma autentica: non può essere generata da regole. Abbiamo bisogno di esprimere questo grande atto di fiducia, gli uni degli altri, nella verità di noi stessi; in questa verità, ci appare sempre davanti l’altro, con le sue esigenze. Se noi siamo capaci di ascoltarlo, troviamo la molla per l’azione, per la continuità, che è la forza di questo Festival.
Vi auguro di sentirvi davvero così: belli, essenziali e con una forza interiore che nessuno può fermare.